[pubblicato su “per quarto” informa di novembre/dicembre 2012]

Esempio di impianto a biogas da 1MWh (Limena – Padova)

Il 30 settembre si è riunita la Conferenza di servizi per esprimersi sull’ammissibilità o meno del progetto per la realizzazione di un impianto a biogas a Portegrandi.

Alla presenza – oltre che dei rappresentanti degli enti interessati – di una decina di cittadini del comitato spontaneo nato per approfondire l’impatto del progetto sul territorio, la Conferenza ha dato parere contrario all’Autorizzazione unica ambientale (AUA), indispensabile per procedere con la realizzazione dell’impianto.

Ottimo, direte. Lo diremmo anche noi se non fosse che l’Autorizzazione unica (che, ricordiamo, è uno degli strumenti di semplificazione per le imprese introdotti dalla legge n° 35 del 2012 “Semplifica Italia”) prevede comunque che venga data una seconda possibilità al soggetto proponente.

La storia quindi potrebbe non finire qui, soprattutto per Portegrandi.

Avendo approfondito il tema in sede di Commissione consiliare, ed essendo stati presenti alla Conferenza di servizi, riportiamo qui di seguito un riassunto della vicenda con alcune considerazioni sul progetto e, in linea generale, sul tema del biogas.

ANTEFATTO

L’Amministrazione ha ricevuto un progetto per la costruzione di un impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili (biogas) nella frazione di Portegrandi, dove l’azienda proponente possiede del terreno agricolo.

Fatte le proprie valutazioni, l’Amministrazione ha redatto un parere negativo – ottenendo il voto concorde sia della maggioranza che delle minoranze, “per quarto” compresa – in vista della Conferenza di servizi, ovvero il “luogo” in cui tutti gli Enti interessati – in questo caso una decina in tutto, dal Comune alla Regione, passando per la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e laguna – avrebbero valutato se concedere o meno l’autorizzazione alla costruzione, tramite il rilascio della cosiddetta “Autorizzazione unica”.

IL BIOGAS

Il biogas è una miscela, prodotta dalla fermentazione di materiale organico, composta principalmente da metano in percentuale variabile dal 50% all’80%.

Raccogliendo il biogas e bruciandolo in un opportuno impianto si genera energia elettrica.

L’idea che sta alla base di questa tipologia di impianti è semplice: ho un’azienda agricola, meglio se con animali, recupero tutti gli scarti (liquami, residui agro-alimentari, stoppie: la cosiddetta “biomassa”) e con il gas ottenuto dalla fermentazione genero energia elettrica, che poi consumo per la mia attività. E magari, se ne produco in più, la vendo e ci guadagno qualcosina, integrando così il mio reddito.

IL PROGETTO PRESENTATO

Il progetto presentato – e bocciato in prima battuta dalla Conferenza di Servizi – prevedeva una centrale da 999 KWh, in grado di generare 8191 MWh all’anno (stime), di cui il 91% sarebbe stato destinato alla vendita.

Un impianto, quindi, del tutto sovradimensionato rispetto alle reali esigenze dell’azienda.

La biomassa, da far fermentare per ottenere biogas, sarebbe stata costituita al 92% da insilato (mais e triticale macinati, destinati altrimenti a produrre cibo) e solo per il restante 8% da liquami suini (acquistati da un’azienda esterna).

C’è di più. Il terreno in cui doveva sorgere l’impianto (nei pressi della Conca di Portegrandi) si affaccia sulla laguna di Venezia, ed è fortemente vincolato (il PRG lo indica come “Area caratterizzata da una produzione tipica o specializzata dichiarata di interesse paesistico-ambientale e archeologico”) nonché soggetto a forte subsidenza (il terreno tende a sprofondare).

La stessa Regione Veneto ha posto di recente dei limiti all’indiscriminata installazione di queste centrali, con lo scopo di preservare il territorio e le produzioni agricole destinate all’alimentazione (umana ed animale).

ANALISI

A questo punto l’esito della Conferenza di servizi sembrava scontato: il progetto era contrario alle linee guida dettate dalla Regione Veneto, non convinceva l’Amministrazione (maggioranza e minoranze), la Soprintendenza aveva già dato il suo parere negativo.

Nonostante questo i cittadini di Portegrandi non si sentivano tranquilli. E la storia della frazione dà loro ragione: una riqualificazione del vecchio borgo (la Conca) mai partita e che ha fatto più danni che altro, l’ex-consorzio agrario diventato deposito di rifiuti speciali, zone che meriterebbero di essere riqualificate, ma in modo serio, oculato e partecipato (per citare alcuni esempi: l’ex-allevamento “Le Tresse” e il condominio sorto al posto dell’ex-pizzeria in zona Carafia).

Non si sentivano tranquilli anche perché – come ricordato dai Consiglieri di Maggioranza durante l’incontro pubblico del 28 agosto – non sarebbe stato il Comune a decidere, ma la Conferenza di servizi, dove ciascun Ente avrebbe avuto un peso differente. Non si sentivano tranquilli perché la Maggioranza aveva sottolineato di essere contraria alla collocazione dell’impianto (non all’impianto stesso), cercando, inoltre, di sminuire l’effetto delle emissioni e dell’inquinamento da nitrati (nitrati contenuti nel digestato prodotto dalla fermentazione, utilizzato sui campi come fertilizzante e veicolato in laguna dall’acqua piovana).

A fronte di tutto questo, i cittadini di Portegrandi hanno quindi sentito il bisogno di dar vita ad un Comitato e avviare una raccolta firme per sostenere la posizione dell’Amministrazione in fase di Conferenza di servizi.

CONCLUSIONE

Come abbiamo visto, per ora il progetto è stato fermato, ma con “riserva”. Non bisogna quindi abbassare la guardia perché progetti come quello in questione non sono sostenibili a Portegrandi e in nessuna parte del nostro comune. Quarto d’Altino ha già dato in termini di urbanizzazione e le sue frazioni sono dei gioielli, da proteggere e valorizzare: le case della bonifica lungo il taglio del Sile, la gronda lagunare e la sua area archeologica paleoveneta e romana, la zona archeologica di Altino (che raggiunge i confini di Portegrandi), il borgo vecchio della Conca di Portegrandi, il corso del Fiume Sile con l’Oasi di Trepalade e la zona umida di San Michele Vecchio.

Non è accettabile svendere l’agricoltura ed il territorio per inseguire profitti che sono tali solo grazie agli incentivi pagati dai contribuenti.

L’Amministrazione ha un’opportunità da cogliere, evitando di allinearsi al fatto che “ormai il biogas ce l’hanno tutti”: valorizzare il territorio attraverso scelte economicamente ed ecologicamente sostenibili.